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“Scia Carlotta, Ostessa in Sottoripa”

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Correva l’anno 1930 quando Giovanni Ansaldo scrisse “le ventiquattro bellezze della torta pasqualina”, dedicandole a “Scia Carlotta, Ostessa in Sottoripa”, tra tali bellezze, la decima era “la più ardua”:
La decima bellezza, e la più ardua, sono le sfoglie di pasta, i petali di quel grande fiore, che è la torta pasqualina; supremo vanto della abilità dell’impastatrice, cimento non superabile dell’arte della madia. Dal loro numero dipende la maestà della torta, dalla loro leggerezza la sua perfetta cottura. Beati coloro che nella loro infanzia hanno imparato a comprendere cos’è una torta pasqualina a sedici, a diciotto, a venti, a ventidue sfoglie, e fino a ventiquattro sfoglie, come noi ne vedemmo con questi occhi mortali; per essi la tecnica moderna ha poche seduzioni, per essi, Marconi ed Edison si sforzano invano di creare meraviglie nuove”.


Viene facile immaginare lo stupore che avrebbe provato oggi Ansaldo nell’entrare in un qualsiasi supermercato argentino, dove la sfoglia di pasta per la “Pascualina” si trova in vendita preconfezionata: portata nel Nuovo Mondo dagli emigranti, quest’opera d’arte della cucina genovese finì per diventare talmente popolare che la “tecnica moderna”, lasciate da parte le invenzioni di Marconi ed Edison, si sarebbe applicata per ottenerne la riproducibilità.